NON STAI BENE? NON PREOCCUPARTI, FORSE È COLPA DEL LAVORO…
NON STAI BENE? NON PREOCCUPARTI, FORSE È COLPA DEL LAVORO…
Avete presente il film di Almodovar “Donne sull’orlo di una crisi di nervi”?
Avete presente quelle sensazioni in cui non ci si riconosce più in una determinata situazione? Ebbene, per rimanere nel paese caliente, e senza fare una distinzione di genere, vi suggerisco di dare un’occhiatina al blog su El Pais “laboratorio di felicità” di Pilar Jericò, in cui parla dei segnali che ci avvisano quando è giunto il momento di cambiare lavoro (o almeno di provarci).
In sintesi dice che il primo segnale ce lo danno il corpo e le sensazioni con malesseri fisici o stati emotivi altalenanti; in seguito è la mente a fare la sua apparizione portandoci a sognare ed elucubrare progetti e scappatoie.
Così inizia un idilliaco carteggio fra una pulsione interna e la mente che razionalizza; i dubbi si rincorrono in una stenua lotta a chi convince prima il nostro intelletto a capitolare. Come ci si raccapezza? Titubanze, paure, incertezze sono normalissime, ma è possibile “fare ordine” con una certa tranquillità senza avere la sensazione di “aver messo a tacere” o soffocato idee o desiderata oppure senza il senso di colpa di aver agito con leggerezza e avventatezza?
I consigli sono di avanzare nel processo di presa di coscienza secondo 4 tappe:
- prima di tutto occorre prestare attenzione alle proprie sensazioni e tenere una sorta di diario dove verifichiamo la ricorrenza;
- in secondo luogo serve parlare (o scrivere) di quello che si sta provando con onestà e con un certo distacco per cercare di essere il più possibili oggettivi;
- terzo: bisogna distinguere due momenti. Quello in cui si prende una decisione e quello in cui la si attua; è fondamentale non confondere e contestualizzare questi due momenti;
- per ultimo va analizzato il motivo per cui non si procede all’azione, non si osa fare il passo.
Il lavoro è certamente una parte importante della nostra vita, alla quale dedichiamo tante ore, forse troppe se lo facciamo con malavoglia; pertanto prestare attenzione ai segnali può essere il modo migliore per prepararsi a chiudere una tappa e definire una strategia per cominciarne un’altra.
Tuttavia il mio personale consiglio è quello di andare un po’ oltre ai quattro passi su elencati e trovare uno sparring partner di fiducia e competente. Chiarire le idee, fare un refresh delle proprie esperienze, un inventario delle capacità, un bilancio delle competenze richiede conoscenze specifiche e strumenti di misurazione che vanno oltre l’autovalutazione.
Molto diverso da una semplice carrellata sul proprio passato esperienziale, un percorso di career empowerment permette di consapevolizzare ogni persona sul proprio sapere, saper fare e saper essere per poter intraprendere la strategia migliore di cambio professionale. Direi che vale la pena misurarsi con questa opportunità…por qué no?
Angela Caronti
Avete presente il film di Almodovar “Donne sull’orlo di una crisi di nervi”?
Avete presente quelle sensazioni in cui non ci si riconosce più in una determinata situazione? Ebbene, per rimanere nel paese caliente, e senza fare una distinzione di genere, vi suggerisco di dare un’occhiatina al blog su El Pais “laboratorio di felicità” di Pilar Jericò, in cui parla dei segnali che ci avvisano quando è giunto il momento di cambiare lavoro (o almeno di provarci).
In sintesi dice che il primo segnale ce lo danno il corpo e le sensazioni con malesseri fisici o stati emotivi altalenanti; in seguito è la mente a fare la sua apparizione portandoci a sognare ed elucubrare progetti e scappatoie.
Così inizia un idilliaco carteggio fra una pulsione interna e la mente che razionalizza; i dubbi si rincorrono in una stenua lotta a chi convince prima il nostro intelletto a capitolare. Come ci si raccapezza? Titubanze, paure, incertezze sono normalissime, ma è possibile “fare ordine” con una certa tranquillità senza avere la sensazione di “aver messo a tacere” o soffocato idee o desiderata oppure senza il senso di colpa di aver agito con leggerezza e avventatezza?
I consigli sono di avanzare nel processo di presa di coscienza secondo 4 tappe:
- prima di tutto occorre prestare attenzione alle proprie sensazioni e tenere una sorta di diario dove verifichiamo la ricorrenza;
- in secondo luogo serve parlare (o scrivere) di quello che si sta provando con onestà e con un certo distacco per cercare di essere il più possibili oggettivi;
- terzo: bisogna distinguere due momenti. Quello in cui si prende una decisione e quello in cui la si attua; è fondamentale non confondere e contestualizzare questi due momenti;
- per ultimo va analizzato il motivo per cui non si procede all’azione, non si osa fare il passo.
Il lavoro è certamente una parte importante della nostra vita, alla quale dedichiamo tante ore, forse troppe se lo facciamo con malavoglia; pertanto prestare attenzione ai segnali può essere il modo migliore per prepararsi a chiudere una tappa e definire una strategia per cominciarne un’altra.
Tuttavia il mio personale consiglio è quello di andare un po’ oltre ai quattro passi su elencati e trovare uno sparring partner di fiducia e competente. Chiarire le idee, fare un refresh delle proprie esperienze, un inventario delle capacità, un bilancio delle competenze richiede conoscenze specifiche e strumenti di misurazione che vanno oltre l’autovalutazione.
Molto diverso da una semplice carrellata sul proprio passato esperienziale, un percorso di career empowerment permette di consapevolizzare ogni persona sul proprio sapere, saper fare e saper essere per poter intraprendere la strategia migliore di cambio professionale. Direi che vale la pena misurarsi con questa opportunità…por qué no?
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